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Il
Seno delle
Grazie comincia
ad aver rilievo
nella
storiografia del
Golfo quando il
Buonaparte lo
designa, insieme
a quello del
Varignano ed
altre insenature
laterali a sede
di un grande
arsenale
militare
marittimo, idea
poi ripresa
dallo stesso
Cavour, ma da
questi
abbandonata nel
1861, a favore
del progetto
Chiodo.
Gli stabilimenti del Varignano furono,
insieme ai
magazzini di
Panigaglia, base
di una squadra
di vascelli e
fregate che gli
Stati Uniti
mantennero in
Mediterraneo
fino alla guerra
di secessione;
poi il governo
sardo vi
organizzò un
lazzaretto di
quarantena,
successivamente
trasferito
all’Asinara. Fra
l’altro il
Varignano
acquistò
notorietà per
aver ospitato,
due volte
prigioniero,
Giuseppe
Garibaldi.
Poco si sa della località Le Grazie nel
Medio Evo,
quando Porto
Venere svolgeva
la sua parabola
luminosa quale
baluardo
marittimo di
Genova nel
Tirreno.
Qualcuno ha
affacciato
l’ipotesi che
nella profonda e
sicurissima
insenatura meno
esposta di Porto
Venere agli
assalti del mare
sorgessero i
famosi cantieri
di costruzione
delle galee e
naves da carico
che gli
annalisti
genovesi pongono
genericamente
nel territorio
portovenerese.
Ciò
spiegherebbe, ad
esempio, uno
sbarco in forze
dei pisani in
calanche attigue
e la tradizione
di buoni
calafati
costantemente
mantenuta dagli
abitanti, come
lo dimostrano
gli ottimi e
ricercati
cantieri navali
specializzati
che tuttora vi
prosperano.
Meno nebulosa è invece la esistenza di un
importante
centro
religioso, il
convento di
Nostra Signora
delle Grazie,
del quale rimane
l’edificio
abbastanza ben
conservato
accanto alla
chiesa
parrocchiale.
Questa
istituzione
olivetana è
venuta alla
ribalta della
storia nel 1432,
in quanto fatta
oggetto di Bolla
del Papa Eugenio
IV nella quale,
considerato lo
stato
d’abbandono cui
trovavasi il
monastero di S.
Venerio
all’isola del
Tino ne veniva
proclamata
l’unione con
quello del
Varignano.
Il convento del Tino era stato fondato dai
Benedettini
intorno al 1056
e tutti i lati
della sua storia
sono stati ormai
messi in luce
dai valenti
storiografi ed
archeologi della
regione lunense.
Risulta che dopo
314 anni di vita
dell’istituzione,
nel 1470 la «
famiglia » del
Tino si ritirava
nel monastero
delle Grazie,
lasciando
nell’isola pochi
monaci
guardiani. Dal
suo canto, il
monastero di
N.S. delle
Grazie ebbe vita
regolare fino al
1798, in cui per
decreto del
generale Miallis,
luogotenente dei
francesi, gli
olivetani
venivano espulsi
dalla regione e
l’abazia
destinata
all’uso
parrocchiale, ma
limitatamente
alla chiesa,
passando nel
seguito il
convento all’uso
civile, come
nelle attuali
condizioni.
E’ generalmente poco noto che nel convento,
continuatore
della precedente
opera che ha
reso famoso
quello del Tino,
esistono
affreschi di
notevole pregio
che si
attribuiscono,
almeno in parte,
al pittore
Nicolò Corso,
così chiamato
perché nativo,
nel tardo
Quattrocento, di
Pieve di Vico in
Corsica, che
lavorò sovente
in società con
altri e per lo
più con Giovanni Manzone da
Alessandria, dal
quale poté
essere
influenzato. Si
ritengono sue
due tavole
provenienti
dalla restaurata
abazia di San
Girolamo di
Quarto, oggi
nell’Accademia
Ligustica, che
risentono della
scuola del
Mantegna, che fu
a Genova dal
1484 al 1501.
Gli affreschi delle Grazie, distribuiti fra
il refettorio ed
alcune celle del
convento, oltre
a dimostrare la
vita di
benessere e
splendore
dell’istituzione
nel periodo
rinascimentale,
ne rivelano il
pregio artistico
che è palese,
nelle linee
architettoniche
di quanto ne
rimane. Vi sono
affreschi, come
quelli della
Crocifissione,
di vaste
dimensioni, ma
purtroppo
risentono in
parte
dell’ingiuria
del tempo e
della
manomissione ,
in epoca del
barocco, o per
l’uso civile
fatto
del’convento in
epoche recenti.
Fra l’altro,
buona parte di
essi era stata
ricoperta
d’intonaco e fu
opera di vari
benemeriti, fra
i quali il
proprietario del
fabbricato già
nel 1900, e poi
i suoi eredi, di
averli portati
alla luce. Se ne
interessarono a
suo tempo
l’avvocato prof.
Mori, ispettore
dei monumenti
alla Spezia ed
il prof. Angelis
d‘Ossat,
direttore
generale delle
antichità,
nonché il
compianto Ubaldo
Formentini e il
dottor Nebbia
nel 1933 ed
altri competenti
in arte negli
ultimi anni.
Il fatto è che bisognerebbe continuare la
delicata opera
di scoprimento
intrapresa e
forse altri
quadri e fregi
potrebbero
essere messi
allo scoperto.
Del resto,
l’insieme stesso
del convento che
si riallaccia
come fu detto,
alla tradizione
del Tino, così
ben
rivalorizzata
dal comitato «
Pro Insula Tyro
», meriterebbe
una radicale
restaurazione.
Ciò nel quadro
della razionale
messa in valore
di tutti i
fattori
artistici e
paesaggistici
del Golfo, anche
agli effetti del
turismo,
soprattutto nel
lato Ovest, che
è stato ed è
tuttora il più
sacrificato alle
esigenze di
difesa.
Sappiamo che la questione del convento e
dei suoi
pregevoli
affreschi del
Quattrocento è
oggetto dì
considerazione
da parte
dell’amministrazione
comunale. A
nostro avviso,
le sale che li
contengono o
l’intero
edificio,
ricondotti
quanto possibile
alla loro
fisionomia
originale,
costituirebbero
per Le Grazie
degli ottimi
locali per
manifestazioni
culturali,
artistiche, o di
natura
turistica, di un
certo livello,
del tutto
conformi ai
tempi. E si
darebbe
all’industre
frazione qualche
spunto
d’attrazione,
che equamente le
spetta, nel
quadro di un
comune così
ricco di storia,
così favorito
nel suo fresco
clima estivo e
nel suo
inconfondibile
paesaggio
marino.
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